In quest’intervista esclusiva, il Presidente del Consiglio Regionale del Trentino-Alto Adige, Roberto Paccher, esponente di spicco della Lega trentina, traccia un bilancio approfondito del suo primo anno e mezzo di mandato, che prosegue un percorso iniziato già nella scorsa legislatura.
Forte di un’esperienza politica maturata fin dagli anni ’90, Paccher ripercorre le tappe salienti del suo impegno istituzionale, soffermandosi sui nodi centrali del dibattito politico attuale: l’evoluzione dell’Autonomia speciale, il ruolo strategico della Regione come ponte tra Trento e Bolzano, la sfida della convivenza linguistica e culturale e la necessità di valorizzare il Consiglio Regionale come luogo di sintesi e pianificazione condivisa.
Nel corso del colloquio, il Presidente affronta anche temi di grande attualità come la revisione dello Statuto, la cooperazione tra le Province Autonome, la riforma dei vitalizi, la rappresentanza di genere e le prospettive di esportazione del modello trentino in un contesto nazionale in cui l’autogoverno torna al centro della scena politica. Secondo il Presidente Paccher, infatti, l’Autonomia non è un privilegio ma un traguardo conquistato sul campo e un’opportunità da estendere anche ad altre Regioni italiane.
Un’intervista che offre uno sguardo lucido e concreto su un territorio che ha saputo costruire, nel tempo, un modello istituzionale unico e virtuoso, capace di coniugare efficienza amministrativa, coesione sociale e identità culturale.

Presidente Paccher, come giudica il suo primo anno e mezzo alla guida del Consiglio regionale?
“In realtà c’è una certa continuità, perché già nella scorsa Legislatura ho ricoperto per due anni e mezzo il ruolo di Presidente del Consiglio Regionale e per altri due anni e mezzo quello di Vicepresidente. Quindi si tratta di un percorso che prosegue. Ritengo che l’esperienza maturata sia stata fondamentale, non solo per me ma anche per il riconoscimento del nostro territorio all’interno del panorama nazionale. A conferma di ciò, sono stato nominato coordinatore nazionale delle Assemblee Legislative delle Regioni a Statuto Speciale, un incarico che mi rende orgoglioso perché ci permette di incidere anche su questo tema a livello nazionale.”
Il Trentino-Alto Adige è una regione unica ma composta da due Province Autonome con importanti differenze culturali, linguistiche ed economiche. Come si riesce a garantire un equilibrio istituzionale e politico tra Trento e Bolzano?
“Le caratteristiche del nostro territorio sono davvero uniche – ed è proprio questa particolarità che ci distingue nel panorama nazionale. Il nostro Statuto d’Autonomia, che ha centrato pienamente gli obiettivi per cui era stato concepito, è stato lo strumento fondamentale per garantire una convivenza pacifica e collaborativa tra popolazioni che, in origine, presentavano forti differenze culturali, linguistiche e tradizionali, che potevano sembrare inconciliabili.
Grazie a questo assetto, siamo riusciti a costruire un equilibrio solido e duraturo che oggi rappresenta un vero e proprio modello da seguire.”
Nel Suo mandato, quali sono stati i momenti in cui ha percepito maggiormente il valore dello Statuto d’Autonomia speciale? Ci sono ambiti in cui lo considera invece migliorabile o da aggiornare?
“Tutto può essere migliorato. Il nostro secondo Statuto ha più di cinquant’anni, per cui una sua revisione per rendere l’Autonomia più dinamica e vicina ai bisogni attuali dei cittadini è auspicabile. Naturalmente, sempre nel rispetto delle competenze del nostro territorio. Per fare un esempio concreto: cinquant’anni fa nessuno parlava del tema dei grandi carnivori, mentre oggi è una questione importante che riguarda da vicino il nostro territorio. Ed è proprio su queste tematiche specifiche che dobbiamo poter avere la possibilità di decidere autonomamente.”
L’Autonomia è in questi giorni al centro del dibattito nazionale per via della Riforma dello Statuto. Qual è il Suo punto di vista sull’attuale clima politico italiano nei confronti delle Autonomie speciali e come difende l’Autonomia regionale in questo contesto?
“Spesso le altre Regioni non sono consapevoli del fatto che al Trentino non è stato regalato nulla. La nostra Autonomia è il frutto di una lunga storia di autogoverno e di una capacità, dimostrata nei secoli, di amministrare in modo efficace il nostro territorio. C’è, purtroppo, una visione superficiale da parte di chi non vive qui, che porta a considerare la nostra autonomia come un privilegio. Ma non è affatto così.
È importante chiarire che sì, disponiamo di maggiori risorse, ma abbiamo anche maggiori competenze, e queste comportano responsabilità concrete. Ci occupiamo, ad esempio, della manutenzione delle strade, dell’istruzione, della sanità: settori che altrove sono gestiti direttamente dallo Stato. Quindi, le risorse di cui disponiamo servono a coprire costi che altrove non gravano sulle singole Regioni. Per questo motivo dobbiamo mantenere alta la soglia dell’attenzione: perché, all’esterno, spesso siamo visti come dei “privilegiati”, mentre in realtà ciò che esercitiamo è un’autonomia che ci siamo guadagnati, con fatica, nei secoli e decenni scorsi.”
Quali sono oggi, secondo Lei, i principali punti di collaborazione ed eventualmente di frizione tra le due Province Autonome?
“Devo dire che vedo molti più aspetti positivi e segnali di collaborazione che non di frizione tra i due territori. Fortunatamente siamo ormai lontani da tempi come quelli del cosiddetto “Los von Trient”, in cui si percepiva una netta separazione tra Trentino e Alto Adige. Oggi i Presidenti delle due Province collaborano in modo estremamente costruttivo, con una visione condivisa soprattutto nella difesa dell’Autonomia. La Regione, in questo contesto, svolge un ruolo fondamentale: funge spesso da collante tra due realtà che, senza questo legame istituzionale, rischierebbero di comunicare molto meno.
Quando qualcuno sostiene che la Regione sia ormai inutile perché ha perso molte competenze, vorrei ricordare due cose importanti. La prima è che la Regione è la custode della nostra Autonomia: senza la Regione, non esisterebbe nemmeno l’Autonomia come la conosciamo oggi. Questo elemento da solo dovrebbe bastare a sottolinearne l’importanza. La seconda considerazione è che la Regione rappresenta l’unico spazio in cui le due Province si confrontano direttamente. Se non avessimo questo livello istituzionale, mancherebbero momenti di condivisione e pianificazione comune. In territori piccoli come i nostri, l’unione e la cooperazione possono fare davvero la differenza.”
Ci sono stati progetti o iniziative regionali recenti che hanno avuto particolare successo proprio grazie alla cooperazione tra Trento e Bolzano? Può farci un esempio concreto?
“Tra le questioni più rilevanti affrontate recentemente dalla Regione, senza dubbio la principale è stata la revisione dello Statuto, ovvero il confronto con lo Stato per ridefinire alcuni aspetti fondamentali della nostra Autonomia.
A questo proposito, voglio sottolineare che la collaborazione tra i Presidenti Fugatti e Kompatscher è stata decisiva: i risultati ottenuti rappresentano probabilmente il massimo che si potesse raggiungere in questa fase storica. La cooperazione tra Trento e Bolzano si è dimostrata solida, compatta e orientata verso un obiettivo comune. Ed è proprio questa unità a livello regionale che ha reso possibile il raggiungimento di traguardi così significativi.”
La convivenza linguistica e culturale è una delle sfide costanti della nostra Regione: ritiene che le Istituzioni regionali stiano facendo abbastanza per valorizzare il multilinguismo e la coesione culturale?
“A mio parere, abbiamo costruito un sistema che funziona molto bene e che ha raggiunto risultati molto vicini all’ottimale. All’interno delle Istituzioni regionali, tutte le componenti linguistiche del nostro territorio sono adeguatamente tutelate e valorizzate: parliamo degli italiani, dei tedeschi, dei ladini, ma anche delle minoranze mochena e cimbra. Un esempio significativo è dato proprio dallo Statuto di Autonomia, che prevede una rotazione linguistica nella Presidenza del Consiglio Regionale: due anni e mezzo sono riservati a un Presidente di lingua italiana e due anni e mezzo a uno di lingua tedesca. Inoltre, il Vicepresidente per l’intera durata della Legislatura proviene dal gruppo linguistico ladino.
Anche la composizione della Giunta regionale è vincolata al rispetto della proporzionale linguistica stabilita in base alla composizione del Consiglio Regionale: ogni lingua è rappresentata in modo proporzionale ai consiglieri eletti. Lo stesso principio vale anche per la Provincia di Bolzano, dove, pur essendo gli italiani in minoranza, esiste un’analoga alternanza e rispetto dell’equilibrio linguistico. Oggi, posso dire con convinzione che non si registrano più situazioni di discriminazione legate all’appartenenza linguistica. Questo rappresenta senza dubbio un traguardo molto significativo raggiunto dal nostro modello istituzionale.”
Il ruolo del Consiglio Regionale è spesso considerato secondario rispetto alle Giunte provinciali. Quali sono le azioni concrete che Lei ha promosso per valorizzare il ruolo dell’Assemblea Legislativa Regionale?
“Ritengo che il Consiglio regionale e la Regione nel suo complesso debbano avere un ruolo strategico, non tanto nella gestione quotidiana delle singole competenze – che spetta giustamente alle due Province autonome – quanto piuttosto nella pianificazione e nella creazione di sinergie tra i territori. Non serve costruire nuove strutture che rischierebbero solo di aumentare la burocrazia.
Il mio obiettivo è quello di rafforzare la Regione come sede di coordinamento e pianificazione comune su temi trasversali, lasciando poi alle Province l’attuazione operativa. Sogno una Regione capace di guidare, ad esempio, una programmazione condivisa in ambiti come la mobilità, la sanità, l’istruzione e il turismo.
Faccio un esempio concreto: i turisti che arrivano in Alto Adige dovrebbero essere messi nella condizione di scoprire anche le bellezze del Trentino. E viceversa. Solo una visione integrata e condivisa può valorizzare appieno due territori piccoli ma ricchissimi, e questo ruolo di raccordo non può che essere affidato alla Regione.”
Presidente Paccher, quali sono stati i provvedimenti o le discussioni più significative affrontate dal Consiglio Regionale durante la Sua Presidenza?
“Uno dei provvedimenti più significativi – anche se non particolarmente “popolare” – è stata senza dubbio la riforma dei vitalizi. È un tema che non scalda i cuori, ma del quale rivendico con orgoglio il risultato ottenuto. Abbiamo infatti ricalcolato i vitalizi degli ex consiglieri su base contributiva, superando il vecchio sistema fisso basato sui mandati. In questo modo, abbiamo allineato il trattamento previdenziale degli ex Consiglieri a quello previsto per tutti i lavoratori italiani.
Oltre a questa riforma di carattere tecnico ma molto importante, abbiamo portato avanti numerose mozioni e disegni di legge legati ai bisogni concreti del territorio. Abbiamo discusso molto del tema dell’A22, non solo in termini di concessione ma soprattutto in termini di modalità e di viabilità all’interno del nostro territorio: il tema del ponte Europa e delle limitazioni imposte al traffico da parte dell’Austria.
Un altro passo rilevante è stato fatto durante l’ultima seduta consiliare, quando abbiamo riconosciuto esplicitamente il diritto del genere femminile ad avere una rappresentanza nella Giunta Regionale. È stata una decisione importante, anche perché si è riusciti a inserirla all’interno di un equilibrio già delicato previsto dallo Statuto, che garantisce la rappresentanza ai tre principali gruppi linguistici: tedeschi, ladini e italiani. Aver integrato anche il principio della rappresentanza di genere è un segnale di attenzione concreto verso le donne in politica, che fortunatamente stanno crescendo in numero e visibilità.”
Guardando al futuro dell’Autonomia, qual è la Sua visione? Pensa che il modello del Trentino possa ispirare altre Regioni italiane in termini di autogoverno o è un unicum irripetibile?
“Io sono sempre stato un sostenitore convinto della maggiore autonomia, perché credo che significhi maggiore controllo, maggiore responsabilità e una gestione più consapevole delle risorse. Ricordo che, anni fa, nel dibattito sul federalismo si faceva spesso l’esempio della siringa: al Nord un determinato costo, al Sud anche tre volte tanto. Questo dimostra che, quando si ha la responsabilità diretta della spesa, si tende a gestire le risorse con maggiore attenzione – soprattutto se si tratta di soldi propri e non statali.
L’autonomia, quindi, può senza dubbio portare benefici a tutte le Regioni, e io sarei felice se più territori potessero accedervi. Tuttavia, bisogna anche riconoscere che il Trentino-Alto Adige ha una storia molto particolare, con radici profonde e motivazioni storiche che hanno giustificato e sostenuto il riconoscimento di uno Statuto Speciale. Per questo motivo, pur augurandomi che sempre più Regioni ottengano maggiore autonomia, credo che quella di cui gode oggi il Trentino-Alto Adige sia difficilmente replicabile altrove nella sua interezza.”
Perché le Regioni Autonome del Nord sono un grande valore aggiunto per la comunità e rappresentano un esempio virtuoso di amministrazione rispetto a quelle del Sud che invece non decollano, anzi spesso si ritrovano indebitate e devono ricorrere al Governo per appianare le mancanze di cassa?
“Come accennavo poco fa, io credo che i primi a dover chiedere maggiore autonomia dovrebbero essere proprio i cittadini del Sud. Questo darebbe loro un maggiore controllo sulla gestione delle risorse e la possibilità di amministrarle direttamente sul territorio. Un simile cambiamento, a mio avviso, sarebbe un vantaggio non solo per loro, ma per l’intero Paese, perché porterebbe a una maggiore responsabilizzazione da parte di chi governa quei territori.
Noi, in Trentino-Alto Adige, abbiamo dimostrato sul campo di meritarci l’autonomia, attraverso una gestione attenta, efficiente e consapevole delle nostre competenze. Per questo motivo credo che il nostro modello possa essere preso a riferimento: non come qualcosa di esclusivo, ma come un esempio positivo da seguire.”